Poesie

Garcia Lorca

Api d’oro
cercavano il miele
dove starà
il miele?
E’ nell’azzurro
di un fiorellino,
sopra un bocciolo
di rosmarino.

Trilussa

La felicità

C’è un’ape che si posa
su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.

Garcia Lorca

Il canto del miele

Il miele è la parola di Cristo,
l’oro colato del suo amore.
Il meglio del nettare,
la mummia della luce di paradiso.
L’alveare è una stella pura,
pozzo d’ambra che alimenta il ritmo
delle api. Seno dei campi
tremulo d’aromi e di ronzii.
Il miele è l’epopea dell’amore,
la materialità dell’infinito.
Anima e sangue dolente di fiori
condensati attraverso un altro spirito.
(Così il miele dell’uomo è la poesia
che emana dal suo petto addolorato,
da un favo con la cera del ricordo
creato dall’ape nell’intimità).
Il miele è la bucolica lontana
del pastore, la zampogna e l’olivo,
fratello del latte e delle ghiande,
regine supreme dell’età dell’oro.
Il miele è come il sole del mattino,
con tutta la grazia dell’estate
e il fresco antico dell’autunno.
E’ la foglia appassita ed è il frumento.
Oh divino liquore dell’umiltà,
sereno come un verso primitivo!
Tu sei l’armonia incarnata,
lo spirito geniale di liricità.
In te dorme la malinconia,
il segreto del bacio e del grido.
Dolcissimo. Dolce. Questo è il tuo
aggettivo.
Dolce come il ventre di una donna.
Dolce come gli occhi dei bimbi.
Dolce come le ombre della notte.
Dolce come una voce.
O come un giglio.
Per chi ha in sé la pena e la lira
tu sei il sole che illumina il cammino.
Equivali a tutte le bellezze,
al colore, alla luce, ai suoni.
Oh liquore divino della speranza,
dove anima e materia unite
trovano il perfetto equilibrio
come nell’ostia corpo e luce di Cristo.
E’ la superiore anima dei fiori.
Oh liquore che hai unito queste anime!
Chi ti gusta non sa che inghiotte
lo spirito d’oro di liricità.

Lorenzo de’ Medici

Le api

Quando raggio di sole
Per piccola fissura
Dell’api entrando nella casa oscura,
Al dolce tepor le riscalda e desta
Escono accese di novella cura
Per la vaga foresta,
Predando disiose or questa or quella
Specie di fior di che la terra è adorna.
Qual esce fuor, qual torna
Carca di bella et odorata preda;
Qual sollecita e strigne,
Se avvien che alcuna oziosa all’opra veda;
Altri il vil fuco spigne,
Che invan l’altrui fatica goder vuole.
Così di vari fior, di fronde e d’erba
Saggia e parca fa il miel, qual di poi serba
Quando il mondo non ha rose e viole.

 

Giovanni Pascoli

L’Ape

E disse ancora: “De le sue corolle;
ch’ape non vide, ch’ape non desia:
l’ombre lei gode, ed essa: altro non volle:
essere volle sopra un’ara pia
come l’incenso de l’incensiere,
di cui l’opra s’adempie in vanir via.
Ma non mancano calici a cui bere,
ciò di cui, paziente anima umana,
a te non piace che l’altrui piacere:
c’è la quercia che in aria s’allontana
e la viola che le resta al calcio,
e il fior d’assenzio e il fior di maggiorana.
E quale odore è mai del fior del tralcio!
odor che pare l’ombra del novello
vino che viene. E c’è l’amaro salcio.
In verità ti dico, anima: ornello
o salcio o cardo, ognuno ha sua fiorita;
amara o dolce; ma sol dolce è quello
che tu ne libi miele de la vita”.

Poesia anonima anacreontea

Eros un giorno
non vide un’ape
fra le rose, e fu punto
al dito. Strillò,
sbatté le mani,
volò di corsa
dalla bella Citerea
e disse:”Ahi ,mamma!
Io sto per morire !
Un piccolo drago con le ali
mi ha ferito: lo chiamano ape,
i contadini!”.
E lei rispose: “Se il pungiglione
di un’ape ti fa tanto male,
quanto pensi che soffrano,
Eros, quelli che tu ferisci?”.

 

Paul Valery

L’ape

Quale che sia, e mortale,
e fina la tua punta,
il mio cestello tenero
non ti velo, ape bionda,
che d’un sogno di trina.

Pungi al seno la bella
mela, cui posa Amore
e vi langue o vi muore;
alla mia carne tonda
e ribelle che affiori
di me vermiglia un poco.

D’un alacre tormento
bramo l’offesa; meglio,
cresciuto e vivo, un male
che una sopita pena.

Illumini il mio senso
l’infima sveglia d’oro,
di cui se privo, Amore
perisce o s’addormenta.

 

Pablo Neruda

Bianca ape, ebbra di miele, ronzi nella mia anima
e ti avvolgi in spirali lentissime di fumo.
Io sono il disperato, la parola senz’eco,
quegli che ha perso tutto, dopo aver tutto avuto.
Sei la fune in cui cigola la mia ultima brama.
Nel mio deserto vivi come l’ultima rosa.
Ah silenziosa.
Chiudi gli occhi profondi dove aleggia la notte.
E denuda il tuo corpo di statua timorosa.
Possiedi occhi profondi dove vola la notte,
fresche braccia di fiori ed un grembo di rosa.
I tuoi seni assomigliano alle conchiglie bianche.
E sul tuo ventre dorme una farfalla d’ombra.
Ah silenziosa.

Luigi Orsini

Le api

Spunta l’aurora. Dal sottil forame
che custodisce il rugiadoso miele
escono le api, e il brulicante sciame
lasciano in fretta e l’alvear fedele.
Quasi che un vivo foco entro vi fosse,
saettan via come faville rosse.

Ed ecco il sole. Né la luce ardente,
paion un nembo di scintille d’oro:
si sparpagliano poi rapidamente
riprendendo ciascuna il suo lavoro:
si tuffano, né l’una a l’altra bada,
né le corolle grevi di rugiada.

Suggono l’api l’anima dei fiori
e né fan miele di sapor soave:
recan messaggi d’innocenti amori,
né l’industre fatica è lor mai grave.
Dopo cento viaggi in un sol giorno
ultimamente a casa fan ritorno.
Sagge e laboriose, api, voi siete
esempio a noi di volontà tenace;
n’apparite perciò festose e liete,
e manco a notte, il buon ronzio si tace.
Trascorrete così vostra giornata,
onorando il Signor che ve l’ha data.